lunedì 27 ottobre 2014

L’infinito di Tullio Regge. Abbiamo avuto l'onore di conoscerlo!

Un bellissimo articolo di PIERO BIANUCCI pubblicato il 27/10/ 2014  sulla Stampa tuttoscienze.

Abbiamo avuto l'onore di conoscerlo! 

Non è qui che si può parlare dei lavori di Tullio Regge in meccanica quantistica, sulla gravità discreta o sui buchi neri. Questi sono appunti sparsi ripensando a uno scienziato che a 83 anni se n’è andato lasciando un grande vuoto. Procederò a capitoletti, con la casualità dei ricordi che si affollano.  

INFINITO. Infinito per Tullio Regge è stata una parola-chiave. Il più geniale dei fisici della generazione venuta dopo Enrico Fermi non le attribuiva risonanze poetiche e tanto mistiche o metafisiche. Infinita, cioè senza fine, era per Regge la natura rispetto all’indagine umana. Sbagliato – diceva – è pensare che ci sia un traguardo. La materia è fatta di atomi, gli atomi sono fatti di nucleo ed elettroni, i nuclei di protoni e neutroni, neutroni e protoni di quark. Non c’è nessun motivo per supporre che i quark siano elementari e non fatti di altre particelle in un rinvio all’infinito. Nella sua autobiografia dichiara: “Sogno un universo infinito che possa contenere nella sua storia tutto ciò che è permesso dalle leggi fisiche”. 

Ecco perché Regge intitolò “Infinito” il libro divulgativo in cui disegnò il panorama della fisica da Aristotele alle conoscenze contemporanee. La quarta di copertina riporta la “scala universale”, che va dal “raggio di Hubble”, cioè dell’intero universo a noi noto, alla “lunghezza di Planck”, la più piccola fisicamente concepibile, 5x10 alla meno 33 centimetri. Ma la scala non si ferma lì. Oltre la lunghezza di Planck Regge ha scritto “Hic sunt leones”. La savana più interessante, pensava, è sempre al di là del nostro estremo orizzonte. L’ultimo suo libro, scritto da/con Stefano Sandrelli, astrofisico dell’Osservatorio di Brera” è intitolato “L’infinito cercare. Autobiografia di un curioso” (Einaudi). 

Ci si può vedere una interpretazione estesa del teorema di incompletezza che Goedel, il più grande logico di tutti i tempi, applicò alla matematica. Quel Goedel che Regge conobbe bene nei vent’anni trascorsi all’Institute for Advanced Study di Princeton. Si capisce perché Regge fosse diffidente verso la Teoria del Tutto – stringhe comprese – che da alcuni anni va tanto di moda. Non che ce l’avesse con questa teoria in quanto tentativo di capire il mondo: non la approvava nella misura in cui voleva proporsi come definitiva.  

DIVULGAZIONE. Il 3 dicembre 1973 la sonda “Pioneer 10” sfiorò Giove e scattò le prime foto ravvicinate al più grande dei pianeti e ai suoi satelliti. Il 1° settembre 1979 una sonda gemella, “Pioneer 11”, sorvolò per la prima volta Saturno e il suo sistema di anelli e di lune inviando foto sorprendenti. Intanto i due “Voyager” avevano di nuovo visitato Giove. La Nasa vendeva quelle immagini per pochi dollari. Nel 1979 Regge le portò in Italia insieme con foto di nebulose e galassie acquistate negli Osservatori di Kitt Peak e Monte Palomar. Usò questi materiali, sconosciuti al pubblico italiano, per una conferenza intitolata “Il giro dell’universo in 80 diapositive”. Le repliche non si contano. Una volta riempì il Palasport – 4000 persone. Il puntatore laser all’epoca era grande come un mitra e appariva come una incredibile novità tecnologica. Fino al 17 febbraio 1998 il Pioneer 10 è stato l’oggetto più distante dalla Terra che sia stato lanciato dall’uomo. Poi il Voyager lo ha superato. Regge ha cambiato la divulgazione in Italia. Sono fiero di esserne in parte responsabile, avendolo invitato a scrivere prima sulla “Gazzetta del Popolo”, poi su “La Stampa”, e poi ancora a comparire in decine di programmi radiofonici e televisivi. Divenne anche un organizzatore della divulgazione scientifica come presidente del Comitato scientifico di GiovedìScienza, socio di CentroScienza onlus, Presidente del Comitato di Experimenta, incarico che ho ereditato. 

EQUAZIONI. A esame concluso, Regge estraeva dal cassetto un foglio con un’equazione e chiedeva allo studente se sapeva risolverla. Lo studente dopo un po’ si arrendeva. Allora Regge gli diceva: “Non si preoccupi. Questa equazione anche per noi è un enigma. Ma ci provo con tutti”. Credeva nel pensiero divergente e disinibito che nasce dall’ingenuità di fronte a un problema. Qualcosa di simile alla fortuna dei principianti alla roulette. 

POLIGLOTTA. Regge conosceva otto lingue e ci giocava. Riccardo Zecchina racconta che ogni mattina trovava nella segreteria telefonica un suo messaggio in una lingua diversa. Inglese, francese, spagnolo, tedesco, russo, ebraico… Qualcuno ha detto Regge parlava il piemontese in otto lingue. Lui rideva. 

RITORNO. Nel 1979 Regge riceve la prestigiosa Medaglia Einstein - per i fisici l’anticamera del Nobel – e torna stabilmente in Italia. Come ha osservato il sindaco Piero Fassino, fu una restituzione. Con quel gesto Regge lanciava un messaggio: uno scienziato che fa strada all’estero può, forse deve, riportare nel suo paese la ricchezza della sua esperienza. 

ALLIEVI. Regge mi disse una volta di essere un cattivo valutatore dei suoi studenti e allievi. Non si direbbe, a guardare la Scuola che ha lasciato, tra giovani e meno giovani. Vittorio De Alfaro, Mario Rasetti, Stefano Sciuto, Ferdinando Gliozzi, Vittorio Canuto, Pietro Fré, Vincenzo Barone, Sandro Bottino, Nadia Pastrone, Riccardo Zecchina, Federico Tibone. Con quest’ultimo lavorò a Cd-rom divulgativi editi da La Stampa, il primo sulla relatività speciale e generale, poi uno sull’astronomia in collaborazione con me, uno sulla musica in collaborazione con Luciano Berio e altri ancora. A proposito di maestri e allievi una volta mi citò l’acrobatica battuta che aveva sentito da Robert Oppenheimer: “Quale miglior maestro sarei, se fossi stato allievo dei miei migliori allievi”.  

ECLISSE. Una volta, quando già era costretto a muoversi su una carrozzina, Regge andò con un gruppo di astrofili a vedere un’eclisse totale di Sole da un’isola dell’oceano Indiano. C’era una barriera corallina. Si fece gettare in acqua per vederla. 

MUSICA. Amico di Luciano Berio, Regge amava la musica classica, Mozart in primis, e fischiettava la lirica. Suonava il piano, gareggiando con il fisico Alfredo Molinari (a lui devo il primo incontro con Regge, verso la metà degli Anni 70). Paragonava il rock e il pop a rumori molesti, agli allarmi antifurto delle auto e alle sirene delle ambulanze. Bruno Gambarotta, regista di varie nostre serie televisive (Dall’atomo al cosmo, Viaggio nelle simmetrie etc.) lo rese felice facendone fare la sigla musicale a Ludovico Einaudi.  

COMPUTER ART. Regge amava disegnare. Una volta dipinse di verde persino il naso della sua amatissima gatta, che non si offese: sapeva sopportare le bizzarrie dei geni. Il computer gli diede una inattesa libertà: padrone della matematica com’era, programmava le forme e i colori più mirabolanti. Molti disegni li regalava. Una volta se ne fece una mostra nel Palazzo della Regione in piazza Castello. I titoli che dava ai suoi lavori erano importanti come e più del disegno: lì metteva a piene mani umorismo, ironia, arguzia, satira, polemica. 

MATEMATICI. Matematico geniale ma al servizio della fisica, Regge amava confrontarsi con matematici professionisti che considerava più bravi di lui. Da questi incontri, immaginabili come partite a scacchi tra grandi maestri, ricavava spunti per il proprio lavoro. L’importante, mi spiegò, è l’equilibrio tra i livelli: in matematica il fisico non deve essere troppo più bravo del matematico puro con cui dialoga, e il matematico puro – manco a dirlo – non deve non deve essere troppo ignaro della fisica. Vengono in mente i dialoghi di Einstein con l’ingegnere Michele Besso e con il matematico ungherese Marcel Grossman, il compagno di studi che lo indirizzò alla matematica dei tensori e ai lavori di Gregorio Ricci-Curbastro e Tullio Levi Civita. 

CRACKPOT. Con questa parola che significa “pentola rotta” americani e inglesi indicano gli inventori folli, gli pseudoscienziati, i mitomani che hanno realizzato il moto perpetuo, scoperto una falla nella relatività, riscritto – correggendola – la legge di Newton, trovato il modo per superare la velocità della luce e così via. Regge ha dedicato a questo folcloristico popolo un memorabile racconto che uscì sulla “Gazzetta del Popolo” e poi fu raccolto nel suo primo libro, edito da Boringhieri. Qui ci sarebbe il capitolo su Regge scrittore di fantascienza, che non apriremo. Il Santeddu inventore del moto perpetuo protagonista di quel racconto però è indimenticabile. Ovviamente Regge dribblava i crackpot, che quasi sempre sono ossessivi e assillanti, ma aveva nei loro confronti uno sguardo divertito e benevolo. “Anche mio padre in qualche modo era un crackpot – raccontava – magari aveva qualche buona idea, ma gli mancavano gli strumenti culturali per svilupparla”. Naturalmente al padre Regge era affezionato e lo stimava profondamente. Come geometra, aveva progettato alcune case di Torino, tutte caratterizzate da uno stile eclettico che in qualche modo anticipava di mezzo secolo il postmoderno. Una volta passando per corso Casale me ne indicò una: “Mica male, no?”.  

SCHERZI. Si divertiva a fare scherzi a colleghi e amici, con l’impassibilità di un Buster Keaton. Una volta Bruno Gambarotta ne fece uno a lui. Per la scenografia della serie tv “Dall’atomo al cosmo” si era fatto prestare da Regge il suo bellissimo cannocchiale in ottone d’inizio Novecento, ottica Allemandi, se ricordo bene. Regge acconsentì con mille raccomandazioni. Alla fine dell’ultima puntata Gambarotta, fingendo sbadatezza, lo urtò mandandolo in pezzi. Disperazione e ira di Regge. Ma il cannocchiale distrutto era una imitazione in plastica che Gambarotta aveva fatto preparare dagli scenografi.  

SCRITTORI. Al liceo si era fatto bocciare in italiano ma, come ben sappiamo, scriveva benissimo e amava la letteratura con risvolti scientifici. Borges era il suo autore preferito, in particolare amava il gioco combinatorio su cui appoggia il racconto della Biblioteca di Babele contenente tutti i libri resi possibili dall’alfabeto. Primo Levi, chimico attratto dalle simmetrie e asimmetrie molecolari, non poteva non essergli vicino. Lo dimostra il “Dialogo” che intrattennero, nato da un’idea di Ernesto Ferrero. 

PLANCK. Una volta, di ritorno dal Cern di Ginevra, chiesi a Regge chiarimenti sulla costante di Planck. Da Chamonix a Quincinetto il discorso girò intorno alla massa di Planck e ai minibuchi neri. Meravigliosa la chiarezza della lectio magistralis. Capivo persino io, ed era una gioia assoluta della mente. Fu allora che Regge disse una cosa che ripeteva spesso: “La meccanica quantistica non si capisce, ma ci si abitua”. Dichiarazione interessante, per uno che era stato alla scuola di Heisenberg.  

COLLEGHI FAMOSI. Una volta o l’altra vi dirò la battuta che fece su Carlo Rubbia e Antonino Zichichi. 

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